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In un mondo del lavoro sempre più connesso, multiculturale e in costante evoluzione, concetti come diversità, equità e inclusione – riassunti con l’acronimo DE&I – non possono più essere considerati accessori o iniziative “a margine” dell’agenda aziendale. Oggi rappresentano vere e proprie leve strategiche per la crescita, la competitività e la sostenibilità delle imprese, a ogni livello.
È proprio questo il cuore del messaggio lanciato dalla nuova pubblicazione dell’Osservatorio D&I del UN Global Compact Network Italia, redatto dalla rete italiana del Global compact delle Nazioni Unite in collaborazione con oltre 25 realtà business e no-business italiane, l’Ufficio per l’Italia dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), l’Associazione italiana per la direzione del personale (Aidp) ed esperti del settore.
DE&I: di cosa parliamo e perché è cruciale misurarla
Quando parliamo di DE&I, parliamo di persone. Di chi lavora in azienda, di chi ne fa parte oggi e di chi potrebbe farne parte domani. La “D” di diversity ci invita a riconoscere e valorizzare le differenze – che si tratti di genere, età, orientamento sessuale, disabilità, provenienza culturale o altre caratteristiche identitarie. La “E” di equity pone l’accento sull’equità, ovvero sul garantire pari accesso alle opportunità, strumenti e trattamenti per tutti, senza eccezioni. Infine, la “I” di inclusion ci ricorda che non basta accogliere: serve creare ambienti dove ogni persona si senta ascoltata, rispettata e libera di contribuire con il proprio valore.
Misurare la DE&I, secondo l’Osservatorio, significa trasformare questi principi in leve operative. Significa passare dalla narrazione ai numeri, dalla buona volontà alla strategia. Solo attraverso dati e indicatori chiari è possibile comprendere dove ci si trova, dove si vuole arrivare e come colmare il divario.
Le linee guida dell’Osservatorio: una mappa per orientarsi
Il documento elaborato dall’Osservatorio si distingue per il suo approccio estremamente pragmatico. È il frutto di un confronto tra aziende italiane molto diverse tra loro – per settore, dimensione e maturità sul tema – che hanno condiviso esperienze, criticità e buone pratiche.
Uno degli aspetti centrali è il richiamo all’importanza di una governance inclusiva: la DE&I, per essere credibile e trasformativa, deve partire dai vertici. Serve una leadership che se ne faccia carico, che sia rappresentativa, e che includa questi obiettivi nei sistemi di valutazione e incentivazione, rendendoli parte integrante delle strategie aziendali.
Ma la misurazione deve proseguire lungo tutto il ciclo di vita delle persone in azienda: dalla selezione e l’assunzione, alla crescita e formazione, fino alla retention e all’uscita. Ogni fase offre dati preziosi per capire se le opportunità sono davvero accessibili a tutti, se ci sono barriere nascoste, se l’ambiente è accogliente per chi appartiene a gruppi sottorappresentati.
La guida invita anche ad ampliare lo sguardo oltre l’organizzazione, coinvolgendo fornitori, partner, stakeholder e clienti. La DE&I deve riflettersi nella catena di fornitura, nei contratti, nei prodotti e nei messaggi comunicativi. Un’azienda inclusiva non si limita a cambiare dentro: trasmette i suoi valori anche fuori, contribuendo a un cambiamento sistemico.
Infine, un’attenzione particolare è dedicata agli strumenti di misurazione. Non si tratta solo di raccogliere dati, ma di ascoltare attivamente. Le survey sul senso di appartenenza, i focus group, gli audit interni e gli Employee Resource Groups diventano così strumenti essenziali per leggere la cultura aziendale in profondità.
Le sfide da superare per rendere la DE&I misurabile
Come ogni trasformazione autentica, anche l’adozione della DE&I come leva strategica presenta delle sfide. La prima, e forse la più complessa, riguarda la raccolta dei dati. Quando si parla di etnia, orientamento sessuale, disabilità o identità di genere, ci si confronta con il terreno delicato della privacy. Il Regolamento GDPR impone giustamente dei limiti, e ciò richiede alle aziende un impegno per creare ambienti di fiducia, dove la self-identification sia volontaria, protetta e sentita come sicura.
Un secondo ostacolo è culturale. In molte realtà italiane, la DE&I è ancora vista come un adempimento o un “progetto HR” anziché come un pilastro trasversale. Cambiare questa percezione richiede un lavoro profondo e continuativo, che coinvolga non solo chi si occupa di persone, ma tutto il management.
C’è poi la difficoltà di costruire indicatori coerenti e confrontabili, soprattutto in organizzazioni complesse o internazionali. E infine, la sfida più sottile: andare oltre i numeri. Perché l’inclusione vera non si misura solo in percentuali, ma nella qualità dell’esperienza vissuta dalle persone.
Cosa misurare, dunque? Gli indicatori chiave
L’Osservatorio propone una scoreboard articolata che aiuta le aziende a orientarsi nel mare delle metriche. Gli ambiti principali toccano la governance, il ciclo di vita del personale, la percezione dell’inclusione e la catena del valore.
Viene analizzata la composizione dei vertici aziendali in termini di diversità, così come l’integrazione della DE&I nei sistemi di performance. Si guarda a chi entra e chi esce dall’azienda, a come si cresce e con quali opportunità, alla fruizione dei congedi parentali e al supporto al rientro.
Anche l’esterno è sotto osservazione: dalla percentuale di fornitori “diversificati”, alle policy DE&I nei contratti, fino all’inclusività nei materiali di marketing e nei prodotti rivolti ai clienti.
La guida dell’Osservatorio ci restituisce un invito ad agire con consapevolezza e visione. È uno strumento per passare dalle intenzioni ai risultati. E soprattutto, è una risorsa per tutte quelle aziende che vogliono fare della DE&I un motore reale di innovazione, sostenibilità e progresso.