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SICUREZZA SUL LAVORO E DVR: UNA SENTENZA CHE FA SCUOLA
Sicurezza sul lavoro e DVR: una sentenza che fa scuola
La sentenza della Corte di Cassazione ha confermato la responsabilità del datore di lavoro per le carenze nella gestione della sicurezza.
Un grave infortunio sul lavoro, avvenuto nel 2016 presso un’azienda di logistica, ha riportato all’attenzione il ruolo cruciale del Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) nella prevenzione degli incidenti. La recente sentenza della Corte di Cassazione (Sez. 4, 26 febbraio 2024, n. 8282), che ha confermato la responsabilità del datore di lavoro per le carenze nella gestione della sicurezza, sottolinea l’importanza di questo strumento per la tutela dei lavoratori e delle imprese.
Il DVR: obblighi e responsabilità
Il DVR è previsto dal D.Lgs. 81/2008 come documento obbligatorio per tutte le aziende, indipendentemente dalla dimensione o dal settore. Deve contenere un’analisi dettagliata di tutti i rischi presenti nei luoghi di lavoro e definire le misure preventive da adottare per minimizzarli o eliminarli. La normativa è chiara: il DVR non è un mero adempimento burocratico, ma uno strumento operativo essenziale per garantire un ambiente di lavoro sicuro.
La Cassazione ha ribadito che la responsabilità di redigere, aggiornare e monitorare il DVR ricade personalmente sul datore di lavoro. Tale obbligo non è delegabile, nemmeno in caso di subentro in una posizione di garanzia. Il nuovo responsabile ha dunque il dovere di verificare l’adeguatezza del documento esistente e, se necessario, apportare modifiche per colmare eventuali obblighi e carenze.
Un caso emblematico
Nel caso analizzato dalla Cassazione, un lavoratore è stato coinvolto in un grave incidente sul lavoro a causa dell’assenza di misure preventive adeguate, come zone protette e segnaletica per separare pedoni e mezzi semoventi. La documentazione sulla sicurezza, pur presente, era "gravemente carente" e non contemplava i rischi specifici relativi all’area in cui si è verificato l’incidente.
Nonostante il datore di lavoro fosse subentrato nella posizione di responsabilità da pochi mesi, la Corte ha stabilito che ciò non lo esimeva dall’obbligo di verificare e aggiornare il DVR. La mancata valutazione dei rischi specifici è stata considerata una causa determinante dell’evento, e la responsabilità non poteva essere trasferita a chi aveva redatto il documento in precedenza.
Conseguenze della mancata redazione o aggiornamento del DVR
La normativa in vigore prevede sanzioni severe per le imprese che non redigono o aggiornano il DVR, tra cui:
- Sanzioni penali: Arresto fino a otto mesi o ammenda fino a 15.000 euro.
- Sequestri e blocco delle attività: Le autorità possono disporre la chiusura dell’azienda in caso di gravi inadempienze.
- Danni reputazionali: L’assenza di un DVR o la sua inadeguatezza compromette la credibilità aziendale e può avere ripercussioni sui rapporti con clienti e partner.
La Cassazione ha sottolineato che il DVR è un documento soggetto a revisione in caso di modifiche nei processi produttivi, adozione di nuove tecnologie o incidenti significativi. L’aggiornamento tempestivo è fondamentale per garantire che tutti i rischi siano correttamente analizzati e gestiti.
Un monito per le imprese
La sentenza rappresenta un chiaro monito per tutte le aziende: la sicurezza sul lavoro non può essere trattata come una formalità. Il DVR è il fulcro delle politiche di prevenzione e deve essere gestito con la massima attenzione, sia nella fase di redazione che in quella di aggiornamento (ove si subentra nella gestione di un’attività).
Ogni datore di lavoro ha l’obbligo di assicurare un ambiente sicuro, e il DVR rappresenta il primo passo per raggiungere questo obiettivo. Le carenze nel documento non solo mettono a rischio la salute dei lavoratori, ma espongono l’azienda a gravi conseguenze legali, economiche e reputazionali.
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LICENZIARE PER GIUSTA CAUSA IL WHISTLEBLOWER CHE NON RISPETTA LE PROCEDURE: LA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE
Confermato il licenziamento di una dipendente per violazione delle procedure di segnalazione.
Con la sentenza 27 giugno 2024, n. 17715, la Cassazione torna ad occuparsi di whistleblowing tracciando il confine che separa l’uso o l’abuso di tale istituto che tutela i dipendenti che segnalano condotte illecite di cui sono venuti a conoscenza durante l’attività lavorativa. Secondo la sentenza, un lavoratore che segnala illeciti senza rispettare le procedure previste dal regolamento di whistleblowing può essere legittimamente licenziato.
I fatti da cui muove la segnalazione di whistleblowing
Il caso, sottoposto all’attenzione della Corte, riguarda la segnalazione di una dipendente che aveva denunciato la presunta condotta illecita del Direttore di Roma 1, accusato di aver sottratto fondi pubblici dal MIUR destinati al progetto premiale per il periodo 2012-2018, spettanti alla stessa dipendente che denunciava anche il plagio, il danno intellettuale, finanziario, di carriera e a danno di terzi. Tuttavia, la dipendente aveva inoltrato a vari destinatari (anche estranei ai reparti di competenza dell’ente datore di lavoro) il modello per la segnalazione di condotte illecite senza garantire la segretezza e trasmettendo dati sensibili che hanno leso il rapporto fiduciario tra la stessa ricorrente che si trovava in una posizione particolare di responsabilità in quanto dirigente e il datore di lavoro. Per questa ragione, l’Ente si era espresso concludendo che la segnalazione della dipendente “non poteva essere considerata come rientrante nelle tutele di cui all’art. 54-bis del D. Lgs. N. 165/2001, in quanto non era stata trasmessa con le modalità previste dal piano triennale di prevenzione della corruzione, 2018-2020, e che, in ogni caso, dalla relazione del responsabile anticorruzione non era emersa alcuna anomalia nella gestione delle vicende segnalate”.
A questi fatti, va aggiunta la vicenda che vedeva la medesima dipendente contattare un professore universitario (associato allo stesso Ente datore di lavoro) e registrare una conversazione che poi sarebbe stata pubblicata su Facebook lasciando che il soggetto venisse riconosciuto per strumentalizzare la conversazione privata. Il procedimento disciplinare, scaturito dalla segnalazione di whistleblowing, si è concluso con il licenziamento per giusta causa della dipendente che dopo i vari giudizi si è rivolta alla Corte di Cassazione.
La sentenza della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della dipendente confermando le valutazioni dei precedenti gradi di giudizio. La Corte ha stabilito che la registrazione segreta di una conversazione con un professore, successivamente pubblicata sui social media, non può essere considerata una difesa legittima per proteggere la propria posizione lavorativa.
Anche se le registrazioni segrete tra colleghi non sono sempre illegittime, devono essere giustificate da una reale necessità difensiva così come previsto dall’art. 54-bis D.Lgs. n. 165 del 2001. Questa protezione, tuttavia, non si estende a chi raccoglie prove di illeciti violando la legge. Pertanto, la Corte Costituzionale ha ritenuto legittimo il licenziamento della dipendente, poiché non vi era alcun nesso causale tra la registrazione e la segnalazione di illeciti. La normativa sul whistleblowing protegge infatti i dipendenti dalle sanzioni per la segnalazione di illeciti altrui, ma non copre gli illeciti autonomi commessi dai segnalanti stessi.
Promotergroup S.p.A. è in grado di offrire assistenza e consulenza alle aziende per implementare una procedura Whistleblowing conforme al D.Lgs. 24/2023.
Se ancora non hai implementato un canale di segnalazione o hai dei dubbi contattaci: www.promotergroup.eu/index.php/contattaci