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L’UE APPROVA LA POLVERE DI GRILLO COME NUOVO ALIMENTO

Dal 24 gennaio è autorizzata l'immissione sul mercato sotto forma di polvere parzialmente sgrassata. Cosa ne pensano gli italiani e in quali prodotti la troveremo.

 

 Dopo la larva gialla della (Tenebrio molitor) e la Locusta migratoria arriva nelle tavole degli italiani anche il grillo domestico (Acheta domesticus). La commercializzazione di insetti a scopo alimentare è resa possibile in Europa dall’entrata in vigore dal primo gennaio 2018 del regolamento Ue sui “novel food”, che permette di riconoscere gli insetti interi sia come nuovi alimenti che come prodotti tradizionali da Paesi terzi. Il regolamento di esecuzione Ue 23/5 2023 della Commissione europea ha autorizzato l'immissione sul mercato della polvere parzialmente sgrassata di grillo domestico quale nuovo alimento. Per un periodo di cinque anni, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, 24 gennaio 2023, è precisato nel provvedimento, che solo la società Cricket One Co. Ltd è autorizzata a immettere sul mercato dell’Unione il nuovo alimento, salvo nel caso in cui un richiedente successivo ottenga un’autorizzazione per tale alimento. Cricket One è una società vietnamita il cui motto è “proteine classiche per un mondo moderno”. Si occupa di allevamento dei grilli ma anche di altri ingredienti di alta qualità e sostenibili per alimenti, bevande, cosmetici e cibo per animali.

Secondo il regolamento, il nuovo alimento è costituito dalla polvere parzialmente sgrassata ottenuta da Acheta domesticus (grillo domestico) intero mediante una serie di fasi, che prevedono un periodo di digiuno di 24 ore degli insetti per consentire lo svuotamento intestinale, l'uccisione degli insetti mediante congelamento, il lavaggio, il trattamento termico, l'essiccazione, l'estrazione dell'olio (estrusione meccanica) e la macinazione. L’Unione europea ha approvato l’utilizzo di questa polvere in vari alimenti, tra cui pane, cracker, grissini, barrette ai cereali, nei biscotti, nei prodotti secchi a base di pasta farcita e non farcita, nelle salse, nei piatti a base di leguminose e di verdure, nella pizza, nei prodotti a base di pasta, nel siero di latte in polvere, nei prodotti sostitutivi della carne, nelle minestre o anche nelle bevande tipo birra, nei prodotti a base di cioccolato, negli snack diversi dalle patatine e nei preparati a base di carne, destinati alla popolazione in generale. In base alle norme europee e nazionali, la presenza di polvere di grillo dovrà essere sempre segnalata in etichetta o sulla confezione, in qualsiasi percentuale, come previsto per qualunque prodotto allergenico. La dicitura che troverete in etichetta sarà: polvere parzialmente sgrassata di Acheta domesticus (grillo domestico). L’idea della farina di grillo nasce dalla voglia di puntare sull'eco-sostenibilità.

Ma cosa ne pensano gli italiani?

“La grande maggioranza degli italiani”, afferma la Coldiretti, “non porterebbe mai a tavola gli insetti, considerati estranei alla cultura alimentare nazionale”. Secondo un’indagine Coldiretti/Ixe, “il 54% degli italiani sono proprio contrari agli insetti a tavola, mentre sono indifferenti il 24%, favorevoli il 16% e non risponde il 6%”. Sulla stessa linea anche Filiera Italia: “Mangi pure gli insetti chi ha voglia di esotico, ma è un gioco in malafede promuoverli per una dieta sostenibile in alternativa alla nostra” afferma Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia. Una scelta azzardata se non addirittura pericolosa, invece, per il vice presidente della Commissione Ambiente della Camera, Francesco Battistoni, che sottolinea: “la stessa Commissione si è riservata di svolgere ulteriori analisi e approfondimenti sui possibili rischi legati ad eventuali effetti avversi nutrizionali contenuti nel nuovo alimento”.

 

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NOVITÀ IN CAMPO DI ETICHETTATURA ALIMENTARE: PRODOTTO DA ALLEVAMENTO SOSTENIBILE

Dal 2023 è possibile certificare il rispetto del benessere animale. Il Decreto c’è ma mancano gli enti certificatori.

 

Importanti novità in vista per i prodotti da zootecnia sostenibile. Con l’inizio del 2023 è possibile per gli allevatori italiani applicare un'etichetta, con apposita dicitura, sugli alimenti che derivano da pratiche virtuose in termini di benessere animale ossia “prodotto da allevamento sostenibile”.

Ad autorizzare l’etichetta sarebbe il decreto ministeriale del 30 novembre, che sostituisce il decreto del 4 marzo 2011 sulla regolamentazione del Sistema di qualità nazionale zootecnica, a sua volta riferito al regolamento Ue 1974 del 2006.

Il decreto c’è ma non le etichette poiché per poter ottenere il bollino di qualità occorrono enti certificatori autorizzati a rilasciarle, e soprattutto serve un disciplinare, approvato da una commissione tecnica titolata, che stabilisca i requisiti per la certificazione. Al momento, non c’è né l’uno né l’altro. C’è solo un decreto, che parla di Sistema qualità nazionale zootecnia e di requisiti per la concessione dei contributi europei della nuova Pac in base agli ecoschemi approvati dall’Italia. Per ora l’adesione al sistema di qualità è volontaria e gli operatori devono essere certificati da organismi autorizzati. Per arrivare dunque a un bollino di qualità sulle confezioni di carne made in Italy la strada è ancora molto lunga.

I produttori alimentari sono sempre più consapevoli che il tema della sostenibilità degli alimenti sta diventando sempre più importante per i consumatori. Quest’ultimi si interessano sempre di più alla vita degli animali negli allevamenti e conoscono ormai le condizioni inaccettabili alle quali vengono sottoposti gli animali in gabbia.

Gli allevatori che spingono per rendere concreta la proposta di una nuova etichetta, scrive il Sole24Ore, puntano ad aumentare il consumo di carne made in Italy ma anche il rendimento che ne consegue se si alza la qualità: “Ad oggi, infatti, solo il 9% della carne bovina prodotta in Italia si fregia della denominazione Igp: la chianina, la marchigiana, la romagnola, la piemontese. Il restante 91% della carne prodotta nel nostro Paese, ricordano dall’Aop Italia Zootecnica, è commercializzata da produttori e macellatori in forma anonima, non ha un brand, e per il consumatore diventa difficile poterla riconoscere. Inoltre, ad oggi importiamo oltre il 48% della carne bovina consumata, in pratica una bistecca su due non è prodotta in Italia”.

 

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