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Tutte le novità del Decreto Sicurezza 159/2025 pubblicato in Gazzetta Ufficiale

Il Decreto-legge n. 159 del 31 ottobre 2025, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 254 ed entrato in vigore lo stesso giorno, introduce una serie di modifiche al Testo Unico sulla Sicurezza (D.Lgs. 81/08). Il provvedimento, composto da 21 articoli e un allegato, interviene su tracciabilità nei cantieri, sistema della patente a crediti, formazione, accertamenti sanitari, sistemi anticaduta, tutela degli studenti nei percorsi scuola-lavoro, consultazione delle norme tecniche UNI e monitoraggio dei near miss.

Badge digitale e decurtazione punti patente a crediti

L’articolo 3 del decreto introduce l’obbligo per tutte le imprese che operano in appalto e subappalto nei cantieri edili di dotare i lavoratori di una tessera di riconoscimento con codice univoco anticontraffazione, anche in formato digitale. Il badge deve essere interoperabile con sistemi nazionali, tra cui il SIISL (Sistema Informativo per l’Inclusione Sociale e Lavorativa). La tessera assolve contemporaneamente funzioni identificative e di tracciabilità delle presenze in cantiere.

Entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto, il Ministero del Lavoro individuerà ulteriori settori ad alto rischio a cui estendere l’obbligo.

Sul fronte della patente a crediti (art. 27 del D.Lgs. 81/08), il decreto interviene in due punti:

  1. aumenta la sanzione minima per l’impresa che opera senza patente o documento equivalente: da 6.000 euro a 12.000 euro;
  2. Introduce il comma 7-bis, stabilendo che la decurtazione dei crediti avviene immediatamente, al momento della notifica del verbale, per le violazioni previste al punto 21 dell’Allegato I-bis.

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro potrà inoltre utilizzare i dati del Portale nazionale del sommerso per i controlli.

Interventi in materia di prevenzione e di formazione

Il provvedimento modifica l’articolo 11 del D.Lgs. 81/08 introducendo il nuovo comma 4-bis, secondo cui dal 2026 l’INAIL trasferirà almeno 35 milioni di euro al Fondo sociale per occupazione e formazione. Le risorse finanzieranno attività di diffusione della cultura della sicurezza, anche tramite l’uso di supporti digitali quali realtà simulata e aumentata per l’apprendimento esperienziale, oltre a iniziative rivolte ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (aziendali, territoriali e di sito).

Vengono aggiunti i commi 5-ter e 5-quater, che attribuiscono all’INAIL il compito di finanziare interventi di prevenzione e sostegno rivolti soprattutto a micro, piccole e medie imprese dei settori con alta incidenza infortunistica (edilizia, logistica, trasporti), inclusa la possibilità di supportare l’acquisto di DPI tecnologicamente innovativi e sistemi intelligenti di sicurezza.

All’articolo 37 del Testo Unico sono introdotte ulteriori modifiche:
– il comma 11 chiarisce che per le imprese con meno di 15 lavoratori la contrattazione collettiva definisce le modalità di aggiornamento formativo per gli RLS (Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza), tenendo conto delle dimensioni aziendali e del livello di rischio;
– il comma 14 viene sostituito e stabilisce che tutte le competenze acquisite nella formazione devono essere registrate nel fascicolo elettronico del lavoratore, integrato nel SIISL, e utilizzate sia dal datore di lavoro per programmare la formazione sia dagli organi di vigilanza per verificare l’assolvimento degli obblighi.

Prevenzione delle molestie lavorative

L’art. 5, comma 1, lettera c), modifica l’articolo 15 del Testo Unico introducendo la lettera z-bis, che obbliga le aziende a programmare misure di prevenzione di condotte violente o moleste nei luoghi di lavoro individuati dall’art. 62. La previsione diventa una misura generale di tutela ai sensi dell’art. 15, e pertanto rileva nella valutazione dei rischi e nella pianificazione delle misure preventive.

Sorveglianza sanitaria e accertamenti di alcol e tossicodipendenza

Il decreto interviene sull’articolo 41 del D.Lgs. 81/08 con due disposizioni.

La prima sostituisce il comma 4-bis: entro il 31 dicembre 2026, tramite accordo in Conferenza Stato-Regioni e previa consultazione delle parti sociali, verranno riviste le condizioni e modalità per gli accertamenti di alcol dipendenza e tossicodipendenza. Se l’accordo non dovesse essere raggiunto entro sessanta giorni dalla scadenza del termine, il Ministro della Salute, insieme al Ministro del Lavoro, potrà intervenire con proprio decreto.

La seconda introduce la nuova lettera e-quater al comma 2, che consente al medico competente di effettuare una visita medica prima o durante il turno di lavoro, quando esiste ragionevole motivo di ritenere che il lavoratore svolga attività ad elevato rischio sotto l’effetto di alcol o sostanze stupefacenti/psicotrope. Le attività a rischio sono quelle individuate dalla legge 125/2001 e dal DPR 309/1990.

Sistemi di protezione contro le cadute dall'alto

Il decreto modifica l’articolo 113 e sostituisce integralmente l’articolo 115 del Testo Unico.

Per quanto riguarda le scale fisse, le scale verticali permanenti alte più di 2 metri e con inclinazione superiore a 75° devono essere dotate, alternativamente e sulla base della valutazione del rischio, di sistemi di protezione individuale anticaduta conformi all'articolo 115 o di gabbia di sicurezza. Il decreto stabilisce distanze minime e massime: i pioli devono distare almeno 15 cm dalla parete; la parete opposta della gabbia non deve distare più di 60 cm dai pioli.

La riscrittura dell’articolo 115 stabilisce la gerarchia delle misure:

  • priorità ai sistemi di protezione collettiva (parapetti e reti di sicurezza);
  • utilizzo di sistemi di protezione individuale solo quando quelli collettivi non sono attuabili.

L’articolo definisce anche le tipologie ammesse di DPI (sistemi di trattenuta, posizionamento, accesso mediante funi e sistemi di arresto caduta) e chiarisce che questi devono essere collegati a punti di ancoraggio sicuri.

Sicurezza degli studenti impegnati nei percorsi scuola-lavoro

L’articolo 7 estende la copertura assicurativa INAIL agli infortuni in itinere degli studenti nei percorsi scuola-lavoro e introduce l’obbligo per le aziende ospitanti di escludere l’impiego degli studenti in lavorazioni ad alto rischio, secondo quanto previsto nel proprio Documento di Valutazione dei Rischi.

L’articolo 8 prevede che l’INAIL possa erogare borse di studio annuali agli studenti superstiti di vittime di infortuni sul lavoro o malattie professionali.

Disposizioni in materia di norme UNI

L’articolo 10 inserisce il nuovo comma 5-ter all’articolo 30 del Testo Unico. Il Ministero del Lavoro promuove la stipula di convenzioni tra INAIL e UNI che consentano la consultazione gratuita delle norme tecniche richiamate dal D.Lgs. 81/08 e delle norme rilevanti in materia di salute e sicurezza. L’UNI dovrà inoltre redigere un bollettino ufficiale delle norme tecniche, da pubblicare sui siti istituzionali del Ministero, dell’INAIL e di UNI.

Linee guida per l’identificazione dei near miss

L’articolo 15 introduce per le imprese con più di 15 dipendenti l’obbligo di identificare, tracciare e analizzare i near miss (mancati infortuni). Entro sei mesi dall’entrata in vigore del decreto, il Ministero del Lavoro, d’intesa con INAIL e previa consultazione delle parti sociali, deve adottare linee guida nazionali per definire criteri e modalità di registrazione dei near miss, nonché le modalità di trasmissione dei dati e di predisposizione del rapporto annuale di monitoraggio.

Incentivi alle imprese virtuose e provvedimenti per l’agricoltura

L’articolo 1 autorizza l’INAIL, a partire dal 1° gennaio 2026, alla revisione delle aliquote per l’oscillazione in bonus legata all’andamento infortunistico e alla riduzione dei contributi nel settore agricolo.

L’articolo 2 stabilisce che per aderire alla Rete del lavoro agricolo di qualità le imprese dovranno attestare l’assenza di contravvenzioni e sanzioni amministrative in materia di sicurezza, anche se non definitive.

Responsabilità ambientale: le novità introdotte dal decreto “Terra dei Fuochi”

Con la conversione in legge del DL 116/2025 si inaspriscono le sanzioni per i reati ambientali e si amplia la responsabilità degli enti.

La CEDU (Corte Europea dei Diritti Umani), con la sentenza del 30 gennaio 2025 sulla Terra dei Fuochi, ha condannato l'Italia per non aver tutelato adeguatamente i cittadini esposti per anni ai roghi tossici e all'inquinamento. La risposta del legislatore non si è fatta attendere: dal giorno successivo all'entrata in vigore del decreto legge 116 dell'8 agosto scorso, convertito in legge il 1° ottobre e ora in vigore come Legge 147/2025, il quadro normativo per le imprese che operano nel settore ambientale è di fatti mutato.

Un salto di qualità nel sistema sanzionatorio

Il provvedimento modifica il Testo Unico Ambientale (D.lgs. 152/2006) e introduce un deciso inasprimento delle pene per gli illeciti nella gestione dei rifiuti. Il decreto amplia significativamente il catalogo dei reati presupposto del D.lgs. 231/2001, quello sulla responsabilità amministrativa degli enti, trasformando la conformità normativa da adempimento burocratico a condizione essenziale per la continuità operativa.

Le modifiche hanno ricevuto un'ulteriore calibratura in sede parlamentare. Il Senato ha ricalibrato l'impianto sanzionatorio distinguendo in modo più netto tra violazioni amministrative e penali, mantenendo un quadro repressivo severo ma introducendo maggiori garanzie per imprese e operatori regolari. Per le violazioni colpose o formali da parte di soggetti già autorizzati, il passaggio al Senato ha previsto un regime contravvenzionale, mentre resta la severità massima per le condotte dolose e per chi opera senza titolo.

Abbandono rifiuti: tre livelli di gravità

La novità più rilevante riguarda la nuova architettura delle fattispecie penali sull'abbandono di rifiuti. Il legislatore ha costruito un sistema articolato su tre livelli di gravità crescente, abbandonando l'indistinta previsione precedente. Per i rifiuti non pericolosi la sanzione base è un'ammenda da 1.500 a 18.000 euro. Ma se l'abbandono comporta pericolo per la salute o avviene in siti già contaminati, scatta il salto qualitativo: reclusione da sei mesi a cinque anni per i cittadini, che sale da nove mesi a cinque anni e sei mesi per i titolari di impresa o responsabili di enti.

Per i rifiuti pericolosi il sistema è ancora più severo. La reclusione parte da un anno e può arrivare fino a sei anni e sei mesi per le imprese quando sussistono le circostanze aggravanti. Una previsione che non lascia margini di manovra e che colpisce anche comportamenti apparentemente minori. Come sottolineato dalla Circolare del Ministero dell'Interno n. 59513 del 10 settembre scorso, anche un deposito temporaneo gestito male può trasformarsi in un reato penale.

Il nodo del deposito temporaneo

Proprio il deposito temporaneo rappresenta uno dei punti più delicati per le aziende. L'articolo 183 del Testo Unico prevede che il deposito sia legittimo se i rifiuti vengono avviati allo smaltimento almeno trimestralmente, oppure quando il quantitativo raggiunge i 30 metri cubi (di cui massimo 10 di rifiuti pericolosi). Il rispetto di questi limiti, insieme alla corretta separazione per categorie omogenee e alla tenuta della documentazione, diventa ora cruciale. Superare anche di poco i tempi o le quantità previste può trasformare un deposito lecito in un deposito incontrollato, con tutte le conseguenze penali del caso.

Le imprese devono prestare particolare attenzione alla classificazione dei rifiuti. L'errore nell'attribuzione del codice CER, la miscelazione di rifiuti incompatibili, l'assenza di idonei contenitori o il deposito su suolo non impermeabilizzato sono tutti elementi che possono far scattare le sanzioni più gravi. E il decreto chiarisce che anche la violazione delle regole sul deposito temporaneo rientra tra i comportamenti sanzionabili, colpendo chi lo utilizza impropriamente come sistema di smaltimento mascherato.

Trasporto e tracciabilità sotto la lente

Il trasporto dei rifiuti è l'altro grande capitolo della riforma. Chi commette reati utilizzando veicoli a motore rischia la sospensione della patente di guida fino a nove mesi e la confisca del mezzo impiegato per l'illecito in caso di condanna. L'accertamento delle violazioni può avvenire anche tramite sistemi di videosorveglianza comunali, senza contestazione immediata. Una novità che la Circolare del Ministero dell'Interno ha esteso anche al getto di piccoli rifiuti su tutte le strade, comprese quelle urbane.

Particolare attenzione è rivolta alle imprese che svolgono autotrasporto di rifiuti per conto terzi senza essere iscritte all'Albo Nazionale dei Gestori Ambientali. In questi casi la sospensione dall'Albo va da quindici giorni a due mesi, ma in caso di reiterazione o recidiva scatta la cancellazione con divieto di reiscrizione per due anni. Una sanzione che equivale all'esclusione definitiva dal mercato.

Registri e formulari: errori che costano caro

La tracciabilità documentale ha assunto un'importanza strategica. Per l'omessa o incompleta tenuta del registro di carico e scarico si applica un'ammenda da 4.000 a 20.000 euro se i rifiuti sono non pericolosi, che sale da 10.000 a 30.000 euro per i pericolosi. Ma le sanzioni pecuniarie sono solo l'inizio: sono previste anche la sospensione della patente di guida e la sospensione dall'Albo Gestori Ambientali per periodi che possono arrivare fino a un anno nei casi più gravi.

Ancora più severa la risposta per le falsità documentali nei formulari di identificazione. La pena resta la reclusione da uno a tre anni, accompagnata dalla confisca dei mezzi, dalla sospensione della patente e dalla sospensione dall'Albo fino a dodici mesi. Il formulario di identificazione dei rifiuti è il documento che accompagna il trasporto e ne garantisce la tracciabilità. Ogni errore, omissione o falsificazione può avere conseguenze devastanti per l'azienda e per le persone fisiche coinvolte.

A queste sanzioni si aggiungono quelle specifiche per il sistema RENTRI, il Registro Elettronico Nazionale per la Tracciabilità dei Rifiuti.

La responsabilità dell'ente: il 231 diventa ineludibile

Il decreto introduce anche gli articoli 259-bis e 259-ter nel Testo Unico Ambientale, che prevedono un'aggravante specifica per i reati commessi nell'esercizio di attività d'impresa, con richiamo diretto alla responsabilità amministrativa degli enti. Quando il fatto è commesso nell'ambito di un'impresa o di un'attività organizzata, le pene aumentano di un terzo. Ma soprattutto si apre la strada alla responsabilità dell'ente ai sensi del D.lgs. 231/2001.

Il sistema della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche prevede sanzioni pecuniarie calcolate per "quote", il cui valore può variare da 258 a 1.549 euro. Il numero di quote dipende dalla gravità del reato e dal comportamento dell'ente, e per i reati ambientali più gravi può arrivare fino a 1.200. Questo significa che una singola violazione può costare all'azienda diverse centinaia di migliaia di euro. Per un reato di inquinamento ambientale, ad esempio, le quote previste vanno da 250 a 600.

Ma sono le sanzioni interdittive quelle che le imprese temono di più. L'interdizione dall'esercizio dell'attività può essere temporanea (da tre mesi a due anni) o, nei casi più gravi, definitiva. La sospensione o revoca delle autorizzazioni ambientali equivale all'impossibilità di operare nel settore. Il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione preclude la partecipazione a gare pubbliche e l'accesso a finanziamenti. Per molte aziende, soprattutto quelle che hanno la PA come principale cliente, si tratta di una condanna a morte.

Il decreto prevede inoltre l'interdizione da licenze, autorizzazioni e concessioni per un periodo da uno a cinque anni nei confronti di soggetti condannati in via definitiva per inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico di materiale radioattivo e attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti. La disposizione include anche il divieto di concludere contratti pubblici di lavori, servizi e forniture.

La difesa possibile: il modello organizzativo

Esiste però uno strumento di tutela: il Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo previsto dal D.lgs. 231/2001. Un modello ben fatto e applicato può esonerare l'azienda dalla responsabilità, anche se un dipendente commette un reato. Ma attenzione: deve essere efficace davvero, non solo sulla carta. La giurisprudenza è ormai consolidata nel ritenere insufficienti i modelli meramente formalistici.

Il modello deve innanzitutto mappare tutte le attività nel cui ambito possono essere commessi reati ambientali. Per un'impresa che gestisce rifiuti questo significa analizzare trasporto, stoccaggio, trattamento, smaltimento, intermediazione e gestione documentale. Per un semplice produttore occorre comunque presidiare la classificazione dei rifiuti, il deposito temporaneo, la selezione dei trasportatori, la scelta degli impianti di destino e la tenuta dei registri.

Per ciascuna area di rischio devono essere previsti protocolli operativi dettagliati, con chiara segregazione delle funzioni: chi propone l'operazione, chi autorizza, chi esegue, chi controlla, chi registra. I livelli autorizzativi devono essere proporzionali al rischio. Cruciale è anche la nomina di un Organismo di Vigilanza autonomo e dotato delle necessarie competenze, che vigili sul funzionamento e sull'osservanza del modello.

Il sistema disciplinare deve prevedere sanzioni proporzionate per le violazioni delle procedure, applicabili a tutti i livelli aziendali. La formazione del personale deve essere continua e verificata, non un adempimento sporadico. E tutto deve lasciare tracce documentali: le autorizzazioni rilasciate, le verifiche effettuate, i controlli eseguiti, le sanzioni irrogate.

L'impatto pratico per le imprese

Per le aziende il messaggio è chiaro: la gestione ambientale non è più un'area grigia dove si può navigare a vista. Gli errori costano caro, non solo in termini di sanzioni pecuniarie ma anche di reputazione, continuità operativa e libertà personale per amministratori e dirigenti. Il titolare dell'impresa o il responsabile dell'attività organizzata risponde anche per omessa vigilanza sugli autori materiali dei reati riconducibili all'attività aziendale.

Le imprese devono quindi verificare con urgenza la propria situazione. Controllare che tutte le autorizzazioni ambientali siano valide e aggiornate. Verificare che il deposito temporaneo rispetti tempi e quantità. Assicurarsi che i registri siano compilati correttamente e che i trasportatori siano regolarmente iscritti all'Albo. Essere in regola con gli adempimenti RENTRI. E soprattutto, controllare i fornitori: la responsabilità può ricadere anche sul produttore del rifiuto se si affida a soggetti non autorizzati.

Il decreto destina anche 15 milioni di euro per il 2025 per la rimozione dei rifiuti e l'avvio delle attività di bonifica nell'area della Terra dei Fuochi, che saranno successivamente integrati con ulteriori risorse. Ma l'aspetto finanziario è solo una parte della risposta. L'obiettivo principale è cambiare radicalmente l'approccio alla tutela ambientale, passando dalla tolleranza all'intransigenza, dalla sanzione amministrativa alla responsabilità penale, dal controllo sporadico alla vigilanza sistematica.

Le opportunità oltre i rischi

Per le imprese più lungimiranti, tuttavia, questo scenario rappresenta anche un'opportunità. Chi si adegua correttamente non solo evita sanzioni pesantissime, ma costruisce un vantaggio competitivo. La conformità ambientale diventa un elemento di differenziazione sul mercato, soprattutto verso clienti e investitori attenti ai criteri ESG. L'accesso a gare pubbliche, finanziamenti e agevolazioni dipende sempre più dalla capacità di dimostrare una gestione ambientale impeccabile.

Le certificazioni ambientali, i report di sostenibilità, la trasparenza verso gli stakeholder non sono più solo strumenti di comunicazione ma attestazioni di affidabilità. Le imprese che investono in sistemi gestionali integrati, nella digitalizzazione dei processi, nel monitoraggio ambientale continuo costruiscono una reputazione che si traduce in valore economico.

Il cambio di paradigma è evidente: dalla compliance vista come costo alla compliance come investimento strategico. E in un mercato sempre più attento alla sostenibilità, questa prospettiva non è più rinviabile.

UNI EN 17975:20205: ARRIVA IN ITALIA LA NORMA EUROPEA SULLA SICUREZZA IN MANUTENZIONE

Dal 24 luglio 2025 le aziende italiane hanno a disposizione un nuovo riferimento per la gestione dei rischi durante le attività di manutenzione. L'Ente Italiano di Normazione ha recepito la UNI EN 17975:2025, prima norma europea che disciplina in modo organico la procedura LOTO (Lockout/Tagout) per l'isolamento delle fonti energetiche e dei fluidi pericolosi.

Un problema concreto: il 20% degli infortuni mortali avviene durante le operazioni di manutenzione

Secondo dati INAIL, circa un infortunio mortale su cinque in Italia si verifica durante operazioni di manutenzione, ordinaria o straordinaria che sia. Le cause sono ricorrenti: mancato isolamento delle fonti energetiche, rilascio improvviso di fluidi in pressione, fughe di gas, scariche elettriche, contatto con sostanze chimiche.

La manutenzione è una fase di particolare vulnerabilità. Si interviene su macchinari complessi, spesso ancora parzialmente in esercizio, dove i rischi non sono sempre immediatamente percepibili. Fino ad oggi, in Europa mancava uno standard armonizzato che definisse procedure uniformi per queste situazioni critiche.

Cosa prevede la norma                                                                                

La UNI EN 17975:2025, dal titolo completo "Maintenance – Risk control processes of energies and fluids risks in maintenance activities – Guidance", fornisce agli utenti una guida per identificare, valutare e controllare i rischi durante la manutenzione sugli elementi in uso.

Il documento definisce principi, procedure e responsabilità precise. Ogni azienda deve identificare e classificare tutte le fonti di energia e fluidi presenti nei propri impianti: elettricità, gas, vapore, oli, aria compressa, sostanze chimiche. Per ciascuna fonte va definita la modalità di isolamento più appropriata.

La norma introduce ufficialmente in Europa la metodologia Lockout/Tagout, in italiano isolamento, blocco ed etichettatura. Si tratta di un sistema già consolidato negli Stati Uniti con lo standard OSHA, ma finora assente nella normativa europea. Il principio è semplice: prima di intervenire su un impianto, tutte le fonti pericolose vanno fisicamente bloccate e segnalate in modo visibile.

La norma prevede quattro processi di controllo del rischio, da scegliere in base all'analisi della situazione specifica. L'isolamento rinforzato prevede il lockout/tagout completo di energie e fluidi. L'isolamento standard utilizza il lockout di energie e fluidi con procedure meno stringenti. La neutralizzazione gestisce energie e fluidi mediante i sistemi di controllo esistenti. Le disposizioni specifiche si applicano ad attività particolari che comportano energie e fluidi.

La scelta tra queste modalità non è arbitraria. Ogni attività di manutenzione deve essere preceduta da un'analisi del rischio che identifica tutte le fonti presenti e stabilisce le misure per ridurre i rischi al livello più basso possibile.

Le zone grigie organizzative

Un aspetto interessante introdotto dalla norma riguarda le cosiddette zone grigie. Sono quelle attività ricorrenti e apparentemente semplici che si collocano a metà tra manutenzione vera e propria e operazioni ordinarie. Spesso vengono affidate agli operatori di produzione anziché ai manutentori specializzati, generando ambiguità sulle responsabilità.

La norma stabilisce che anche queste situazioni devono essere sottoposte ad analisi dei rischi e regolate da procedure operative standard. L'obiettivo è eliminare vuoti di responsabilità e interpretazioni soggettive che, nei fatti, costituiscono un rischio aggiuntivo.

Chi deve applicarla

La trasversalità della norma è evidente. Si applica all'industria manifatturiera per la manutenzione di linee di produzione, presse e robot. Nel settore energia riguarda centrali elettriche, reti di distribuzione e impianti di cogenerazione. Il comparto chimico e petrolchimico è coinvolto per raffinerie e stabilimenti con fluidi ad alta pericolosità.

Ma la norma interessa anche settori meno scontati. L'edilizia per gli impianti HVAC e idraulici. L'alimentare per i sistemi a vapore e refrigerazione industriale. Trasporti e logistica per gli interventi su treni e metropolitane. Acquedotti e depuratori per le stazioni di pompaggio e gli impianti di trattamento.

La norma si applica anche a strutture medio-piccole come ospedali, hotel e panifici industriali, spesso dotati di impianti complessi che richiedono manutenzione regolare su sistemi ad alto rischio energetico.

La formazione diventa centrale

La UNI EN 17975:2025 dedica ampio spazio ai requisiti formativi. La formazione sulla procedura LOTO deve includere una parte teorica e una pratica, quest'ultima svolta su impianti reali o tramite simulazione. Al termine è richiesta una valutazione delle conoscenze acquisite, con rilascio di un rapporto sulla capacità di svolgere correttamente i processi di isolamento. L'aggiornamento è raccomandato ogni tre anni.

L'obiettivo è chiaro: i lavoratori non devono più affidarsi soltanto all'esperienza o all'intuito, ma seguire procedure standardizzate, scritte e condivise. Un cambio di approccio culturale prima ancora che tecnico.

Figure professionali e responsabilità

La norma introduce figure specifiche con ruoli ben definiti. Il lockout/tagout officer coordina le operazioni. L'operation manager autorizza gli interventi. Il lockout officer esegue materialmente le procedure. Il lockout/tagout manager supervisiona l'intero sistema.

La responsabilità principale resta del datore di lavoro, che deve garantire la coerenza delle procedure aziendali con le prescrizioni della norma, predisporre piani di prevenzione adeguati e assicurare la formazione continua degli operatori.

Volontaria ma necessaria

La norma tecnica è volontaria, come stabilito dal Regolamento UE 1025 del 2012 sulla normazione europea. Tuttavia rappresenta lo stato dell'arte della sicurezza nella manutenzione. In caso di incidente, la mancata conformità potrebbe far emergere carenze nell'organizzazione della sicurezza aziendale durante valutazioni ispettive o procedimenti giudiziari.

Come osserva l'Associazione nazionale dei responsabili della sicurezza industriale, un impianto sicuro non è solo un obbligo normativo ma anche un vantaggio operativo: meno incidenti significano meno fermi macchina, continuità produttiva e maggiore efficienza.

Cosa devono fare le aziende

Le imprese sono chiamate ad aggiornare i propri sistemi di gestione della sicurezza. Servono schede di identificazione delle fonti di energia, permessi di lavoro, certificati di lockout e procedure operative standard. La rimozione dei dispositivi lockout deve essere consentita solo al personale autorizzato con procedure formalizzate.

L'implementazione richiede un investimento iniziale in termini di tempo e risorse, ma garantisce una riduzione misurabile degli infortuni e dei fermi macchina non programmati. Un'adeguata gestione dei rischi non solo tutela l'azienda da responsabilità legali, ma migliora la continuità operativa.

Prospettive

La norma non affronta gli aspetti ambientali legati alle energie e ai fluidi, né i rischi derivanti dalla mancanza di elementi vitali come l'aria respirabile. Questi casi particolari rientrano nell'ambito di applicazione ma non sono dettagliati nel documento. Si tratta di un punto di partenza che lascia prevedere possibili integrazioni future, in linea con il percorso europeo di innalzamento progressivo degli standard di tutela.

Per le aziende italiane che svolgono manutenzione su macchine, impianti e infrastrutture, l'adeguamento alla UNI EN 17975:2025 costituisce un investimento in sicurezza, continuità operativa e tutela dei lavoratori. Un passaggio necessario per allinearsi alle migliori pratiche europee e rafforzare la credibilità nei confronti di lavoratori, clienti e autorità di controllo.

Stop ai crediti d'imposta 4.0 e Transizione 5.0: arriva il nuovo iperammortamento per il 2026

La legge di Bilancio 2026 prevede maggiorazioni fino al 220% per investimenti innovativi e sostenibili e reintroduce gli investimenti immateriali 4.0 tra quelli agevolabili.

Dal 2026 si chiude la stagione dei crediti d’imposta 4.0 e Transizione 5.0 e si torna al meccanismo dell’iperammortamento, uno strumento più semplice e automatico, ma limitato nel tempo.

È prevista inoltre la possibilità di completare gli investimenti entro giugno 2027, a determinate condizioni.

Durata e tempistiche

L’iperammortamento sarà valido esclusivamente per il 2026.

Gli investimenti potranno essere completati entro il 30 giugno 2027, a condizione che:

  • entro il 31 dicembre 2026 l’ordine sia accettato dal venditore;
  • sia stato versato un acconto almeno pari al 20% del costo di acquisizione.

Questa clausola “ponte” consente di mantenere l’agevolazione anche per investimenti già pianificati ma non ancora consegnati entro il 2026.

Ambito soggettivo

L’agevolazione è riservata ai soggetti titolari di reddito d’impresa. Non si applica alle aziende agricole che non producono reddito d’impresa.

Beni agevolabili

La maggiorazione è riconosciuta per gli investimenti, destinati a strutture produttive ubicate in Italia, in:

Beni materiali e immateriali strumentali nuovi, compresi negli Allegati A e B alla Legge di Bilancio 2017 (Legge n. 232/2016).

Beni materiali nuovi strumentali all’esercizio d’impresa finalizzati all’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili destinata all’autoconsumo, anche a distanza, ai sensi dell’art. 30, comma 1, lettera a), n. 2), del D.lgs. n. 199/2021, compresi gli impianti per lo stoccaggio dell’energia prodotta.

In riferimento all’autoproduzione e all’autoconsumo di energia da fonte solare, sono agevolabili esclusivamente gli impianti con moduli fotovoltaici di cui all’art. 12, comma 1, lettere a), b) e c), del D.L. n. 191/2023.

Agevolazione e aliquote

Il nuovo iperammortamento prevede una maggiorazione del costo fiscale dei beni acquistati secondo le seguenti percentuali:

  • Beni 4.0 standard +180% (per investimenti fino a 2,5 milioni di euro)
  • Beni 4.0 con obiettivi “green” (efficienza energetica, riduzione emissioni, ecc.) +220% (per investimenti fino a 2,5 milioni di euro)

Dal punto di vista operativo, l’agevolazione si configura come una variazione in diminuzione da effettuarsi in dichiarazione dei redditi ai fini IRES e IRPEF (non ai fini IRAP), senza alcun impatto civilistico o contabile.

Beni immateriali 4.0

Dal 2026 ritornano agevolabili gli investimenti in beni immateriali 4.0, che nel 2025 non beneficiano più del relativo credito d’imposta.

Decreto attuativo

Un decreto attuativo dovrà essere emanato entro 30 giorni dall’entrata in vigore della Legge di Bilancio 2026 (1° gennaio 2026) e definirà in particolare:

  • I criteri per la determinazione degli obiettivi di transizione ecologica;
  • Il costo massimo ammissibile, espresso in €/kW per gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili e in €/kWh per i sistemi di accumulo;
  • Le procedure di accesso al beneficio e le modalità di trasmissione delle comunicazioni, certificazioni e documentazioni necessarie a comprovare la spettanza dell’agevolazione.

Sostenibilità che premia: le PMI italiane conquistano credito e competitività

Il 2024 rappresenta un anno spartiacque per le piccole e medie imprese italiane. Per la prima volta, la sostenibilità smette di essere un tema di nicchia o un esercizio di comunicazione per diventare un fattore concreto di competitività e accesso al credito. I numeri dell'ultimo ESG Outlook di CRIF lo certificano senza margini di dubbio: la percentuale di PMI italiane considerate ad alto o molto alto rischio di transizione ecologica scende di 6,6 punti percentuali, mentre cresce di 9,1 punti la quota di imprese che si colloca nelle fasce a basso o moderato impatto.

Non si tratta solo di un miglioramento tecnico. Dietro questi dati c'è un cambiamento culturale profondo, che coinvolge strategie aziendali, scelte di investimento e rapporti con il sistema finanziario.

Il credito premia la sostenibilità

Il dato più significativo arriva dal mondo bancario. Nel corso dell'ultimo anno, la quota di finanziamenti destinata alle imprese con migliori performance ESG è salita al 38,1%, contro il 30% scarso del 2023. Un balzo di otto punti percentuali che racconta una trasformazione in atto: gli istituti di credito non si limitano più a monitorare i rischi ambientali, ma orientano attivamente l'allocazione delle risorse, premiando con tassi più vantaggiosi e condizioni più flessibili chi dimostra impegno concreto verso la transizione.

Per molte PMI questo significa poter accelerare investimenti in efficienza energetica, fonti rinnovabili e innovazione di processo. Un circolo virtuoso che lega sostenibilità e crescita in modo sempre più indissolubile.

La geografia della transizione: chi corre e chi arranca

L'analisi settoriale dell'Osservatorio rivela una transizione a geometria variabile. Alcuni comparti hanno imboccato con decisione la strada del cambiamento. Il settore immobiliare, ad esempio, ha quasi dimezzato il proprio livello di rischio rispetto al 2023, spinto dall'adozione di standard energetici più severi e dall'impulso delle direttive europee sugli edifici. Segnali positivi arrivano anche dalla meccanica, dal tessile, dal turismo e dal commercio automotive, dove l'adozione di tecnologie pulite e modelli di business circolari comincia a produrre risultati misurabili.

Il quadro si complica quando si guarda ai settori tradizionalmente più esposti. Trasporti, logistica e comparto marittimo faticano a tenere il passo, frenati da flotte obsolete e da un'infrastruttura non ancora pronta per la decarbonizzazione. Situazione analoga per chimica, farmaceutica e oil & gas, dove i costi di riconversione restano elevati e la pressione normativa particolarmente intensa.

Eppure, anche nei settori ad alta intensità emissiva si intravede una direzione di marcia. Il ricorso progressivo alle fonti rinnovabili e la riduzione, seppur graduale, della dipendenza dai combustibili fossili dimostrano che il cambiamento è possibile, anche se richiede tempi più lunghi e investimenti più consistenti.

Emissioni: la fotografia dell'efficienza

La GHG intensity, l'indicatore che mette in relazione le emissioni di gas serra con il fatturato aziendale, offre una fotografia precisa dell'efficienza ambientale delle imprese. Nel 2024 questo parametro mostra un lieve miglioramento complessivo, segno che le aziende italiane stanno imparando a produrre valore emettendo meno CO₂.

La distribuzione, però, resta profondamente disomogenea. I settori dei servizi e quelli legati al capitale umano, caratterizzati da emissioni naturalmente contenute, registrano le performance migliori. Ben diversa la situazione nei comparti industriali più pesanti: nei trasporti e nell'agricoltura l'adozione di pratiche a ridotto impatto procede a rilento, ostacolata da barriere economiche e tecnologiche ancora difficili da superare.

Le note positive arrivano dall'energia e dalle utilities, dove gli investimenti in rinnovabili e in tecnologie ad alta efficienza iniziano a tradursi in risultati tangibili sui bilanci di sostenibilità.

Dalla conformità alla competitività

I dati dell'Osservatorio disegnano un'Italia imprenditoriale in movimento. Molte PMI stanno riducendo il proprio profilo di rischio ESG, ma permangono divari significativi tra settori, dimensioni aziendali e aree geografiche. La vera sfida, ora, è trasformare questi progressi da obbligo normativo a vantaggio competitivo.

La transizione ecologica non è più soltanto una risposta alle direttive europee o alle richieste del sistema bancario. È una leva strategica per accedere a nuovi mercati, attrarre investitori istituzionali, rafforzare la reputazione e conquistare la fiducia di clienti sempre più attenti alla sostenibilità delle proprie scelte.

In questo scenario, la misurazione puntuale delle performance ESG e la certificazione degli impegni assunti diventano strumenti indispensabili. Non basta dichiarare, bisogna dimostrare. E chi lo fa con rigore e trasparenza si posiziona un passo avanti rispetto ai concorrenti

Promotergroup Spa affianca le imprese nel percorso verso l'ottenimento delle certificazioni ESG, ambientali e sociali, supportandole nello sviluppo di strategie innovative per affrontare con successo le sfide della transizione ecologica.

Intelligenza artificiale e trasparenza: entra in vigore l’obbligo di informativa per imprese e professionisti

Dal 10 ottobre è ufficialmente in vigore l’obbligo di informare lavoratori e clienti sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale nei processi aziendali e professionali.

La novità è introdotta dalla Legge 23 settembre 2025 n. 132, che impone ai datori di lavoro che impiegano sistemi avanzati di IA l’obbligo di informare per iscritto l’interessato e le rappresentanze sindacali (RSA o RSU o, in mancanza, alla sede territoriale del sindacato). Tale obbligo trova il suo fondamento giuridico nell’ art. 11, comma 2, della Legge 132/2025, il quale stabilisce che “Il datore di lavoro o il committente è tenuto a informare il lavoratore dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale nei casi e con le modalità di cui all’articolo 1 -bis del decreto legislativo 26 maggio 1997, n. 152.”.

Questo rappresenta un passaggio decisivo nel percorso verso un uso più consapevole e trasparente delle tecnologie di IA, in linea con i principi dell’AI Act europeo. L’obiettivo è chiaro: garantire che chi subisce gli effetti di un algoritmo sappia quando e come l’intelligenza artificiale viene utilizzata nelle decisioni che lo riguardano.

Un nuovo dovere di trasparenza

Da oggi, i datori di lavoro che impiegano sistemi di IA nei processi di selezione, assegnazione delle mansioni, monitoraggio o valutazione del personale devono fornire un’informativa chiara e completa ai propri dipendenti e, se presenti, alle rappresentanze sindacali.

L’obbligo non si limita a dichiarare l’uso di strumenti automatizzati, ma richiede una comunicazione dettagliata sui dati utilizzati, sulla logica di funzionamento dei sistemi, sulle finalità, sui livelli di accuratezza e sulle misure di controllo umano previste. Inoltre, i lavoratori hanno diritto a chiedere ulteriori chiarimenti scritti, a cui il datore deve rispondere entro trenta giorni.

Ogni modifica significativa nell’uso dei sistemi di IA dovrà essere comunicata in anticipo, così da consentire ai lavoratori di conoscere e comprendere l’impatto delle tecnologie sui propri diritti e sulle proprie condizioni di lavoro.

L’obbligo si estende anche ai professionisti

La nuova disciplina impone una riflessione più ampia sul modo in cui le organizzazioni utilizzano l’intelligenza artificiale. Non si tratta solo di rispettare un obbligo formale, ma di costruire un rapporto di fiducia con lavoratori e clienti, fondato sulla trasparenza.

Sapere quando un algoritmo partecipa a un processo decisionale è oggi un diritto: significa poter comprendere i criteri con cui si valutano le persone, si analizzano i dati o si formulano proposte. Per le imprese, questo passaggio rappresenta anche un’opportunità per consolidare la propria reputazione digitale e dimostrare responsabilità nell’adozione delle nuove tecnologie.

La norma coinvolge anche gli studi professionali: avvocati, commercialisti, consulenti e altri professionisti che utilizzano sistemi di intelligenza artificiale nel proprio lavoro devono informare i clienti in modo esplicito e comprensibile.

L’informativa deve chiarire in quali attività viene impiegata l’IA, con quali limiti e per quali finalità. È espressamente previsto che le tecnologie di supporto non possano sostituire il giudizio professionale umano: la responsabilità del risultato rimane sempre in capo al professionista.

Non sono ancora previste sanzioni specifiche per la mancata informativa, ma si prevede che l’obbligo verrà recepito nei codici deontologici delle diverse categorie.

Oltre la legge, verso un nuovo modello di innovazione

L’introduzione dell’obbligo di informativa segna l’inizio di una nuova fase: la tecnologia entra ufficialmente nel perimetro della compliance e della responsabilità organizzativa.

Le imprese e i professionisti che sapranno coniugare innovazione e chiarezza saranno anche quelli più preparati a costruire un modello di sviluppo sostenibile, fondato sulla fiducia, sulla trasparenza e sulla responsabilità umana.

L’intelligenza artificiale può rappresentare una straordinaria leva di crescita, ma solo se chi la utilizza è disposto a raccontarla, spiegarla e governarla con consapevolezza.

 

Da materiale ubiquo a sospetta minaccia per la salute

Il Bisfenolo A, conosciuto con la sigla BPA, è stato per decenni un protagonista silenzioso dell’industria alimentare. Utilizzato fin dagli anni ’50, ha trovato impiego nella produzione di plastiche e resine epossidiche, diventando una componente chiave in oggetti di uso quotidiano come contenitori, bottiglie, stoviglie, lattine e persino carta termica per scontrini. Tuttavia, con il tempo, la ricerca scientifica ha evidenziato che il BPA è un interferente endocrino in grado di alterare l’equilibrio ormonale anche a dosi molto basse. I rischi legati alla sua esposizione riguardano soprattutto il sistema riproduttivo, il metabolismo, il sistema immunitario e lo sviluppo neurologico, con implicazioni gravi soprattutto per bambini e donne in gravidanza.

Il Regolamento UE 2024/3190

A partire da queste evidenze, l’Unione Europea ha deciso di agire in modo deciso, pubblicando il Regolamento (UE) 2024/3190, entrato in vigore il 20 gennaio 2025. Il provvedimento vieta l’uso del BPA – e di altri bisfenoli pericolosi – nei materiali e oggetti destinati a venire a contatto con gli alimenti, come plastiche, vernici, siliconi, gomme, adesivi e inchiostri. Secondo l’EFSA, anche minime quantità di BPA possono comportare un rischio per la salute. È per questo che la dose giornaliera tollerabile è stata abbassata drasticamente a 0,2 nanogrammi per chilogrammo di peso corporeo, un valore 20.000 volte inferiore rispetto a quello precedente. Il regolamento introduce anche divieti estesi per bisfenoli simili, come BPS e BPF, e obbliga le aziende a comunicare periodicamente alla Commissione europea lo stato delle alternative sviluppate.

Tempi di transizione e sfide tecniche per l’industria

Naturalmente, il legislatore ha tenuto conto delle difficoltà tecniche che le imprese potrebbero incontrare nell’adeguarsi. Sono previsti infatti periodi di transizione: i prodotti conformi alle precedenti normative potranno essere immessi sul mercato fino al 20 luglio 2026, mentre per alcune applicazioni particolari – come gli imballaggi per frutta e ortaggi acidi o i contenitori in metallo con rivestimenti esterni – il termine è esteso fino al 20 gennaio 2028. La vera sfida per l’industria è quella di sostituire il BPA senza compromettere le performance tecniche. Questa sostanza, infatti, garantisce proprietà funzionali difficilmente replicabili, come la resistenza dei rivestimenti interni delle lattine o la stabilità della carta termica. Alcune alternative esistono, come il bisfenolo S, ma anche queste stanno iniziando a essere oggetto di valutazione da parte delle autorità competenti.

Una normativa che guarda alla sostenibilità ambientale

Oltre alla regolazione industriale, un ruolo importante lo gioca anche l’educazione del consumatore. Informare correttamente il pubblico sui rischi del BPA e su come evitarne l’esposizione quotidiana è fondamentale. Piccoli gesti, come evitare di riscaldare cibi in contenitori di plastica o non usare utensili in plastica durante la cottura, possono fare la differenza. Inoltre, il nuovo regolamento apre una riflessione più ampia sul rapporto tra sicurezza alimentare e sostenibilità ambientale. Per la prima volta, infatti, si tiene conto anche della contaminazione ambientale legata ai materiali a contatto con gli alimenti, un approccio già avviato per sostanze emergenti come i PFAS, i MOSH e i MOAH.

Venerdì, 19 Marzo 2021 09:41

talent

Lo scorso luglio, la Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione (CIIP) ha pubblicato il suo Documento di consenso dedicato a un tema che, negli ultimi anni, è emerso con crescente urgenza: la prevenzione delle molestie e delle violenze negli ambienti di lavoro. Elaborato dal Gruppo di lavoro “Rischi psicosociali”, il testo si inserisce in un percorso di ricerca e sensibilizzazione che la Consulta porta avanti da tempo, a partire dalle riflessioni sullo stress lavoro-correlato, fino ad arrivare a una visione più ampia della salute e sicurezza che comprende anche il benessere psicologico e relazionale delle persone.

La pubblicazione nasce in un contesto normativo e culturale segnato dalla Convenzione ILO n.190 del 2019, ratificata in Italia con la legge 4/2021, entrata in vigore nell’ottobre 2022. Questa ha riconosciuto, per la prima volta, che molestie e violenze non sono episodi marginali o estranei al mondo del lavoro, ma veri e propri rischi professionali che devono essere valutati, prevenuti e gestiti al pari degli altri fattori di rischio. In altre parole, la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori passa anche dal garantire ambienti di lavoro liberi da discriminazioni, intimidazioni e abusi.

Cosa contiene il documento di consenso

Il documento CIIP sottolinea come la violenza sul lavoro non riguardi esclusivamente il settore sanitario – dove i dati di aggressioni e minacce sono da anni sotto osservazione – ma attraversi comparti molto diversi tra loro: dai trasporti alla ristorazione, dai servizi sociali all’istruzione, fino al commercio. I numeri raccontano la portata del fenomeno. Nel solo 2023, l’INAIL ha registrato oltre 6.800 infortuni riconducibili ad aggressioni o violenze, con un incremento rispetto all’anno precedente che colpisce in modo particolare le donne.

L’Istat, integrando il quadro con indagini sulla popolazione, stima che più di due milioni di persone abbiano subito molestie sul lavoro, soprattutto giovani donne, spesso nelle fasi più delicate di ingresso o avanzamento di carriera. E se le forme più visibili sono quelle fisiche o verbali, il documento richiama l’attenzione anche su quelle meno evidenti, come le molestie psicologiche, il mobbing e la cyberviolenza, che sfrutta l’assenza di confini dello spazio digitale per amplificare isolamento e ricatti.

Al di là dei dati, il messaggio centrale è che le molestie e le violenze sono parte dei rischi psicosociali che ogni organizzazione deve affrontare. Non si tratta di eventi occasionali, ma di manifestazioni di disequilibri più profondi: carenze organizzative, leadership autoritarie, culture aziendali permissive verso comportamenti tossici, squilibri di potere, mancanza di strumenti di ascolto. Per questo la CIIP insiste sul fatto che la valutazione del rischio non può essere ridotta a un adempimento formale, bensì deve trasformarsi in un processo dinamico, partecipativo e continuo. Valutare il rischio significa analizzare il contesto, ascoltare i lavoratori, riconoscere i segnali di disagio e, soprattutto, intervenire sui fattori che alimentano il problema, dall’isolamento di alcune mansioni alla gestione dei rapporti con l’utenza.

Un altro aspetto centrale del documento riguarda i ruoli e le responsabilità. La prevenzione non può essere delegata solo al datore di lavoro o agli RSPP, ma deve coinvolgere un’intera rete di figure interne ed esterne: dirigenti, preposti, medici competenti, psicologi del lavoro, comitati per la parità di genere, consiglieri di fiducia, sportelli d’ascolto, fino ai sindacati e agli organismi territoriali. La logica è quella di una presa in carico collettiva, che dia a chi subisce molestie non solo procedure formali, ma soprattutto un contesto di fiducia e sostegno in cui segnalare episodi senza paura di ritorsioni o isolamento.

Il ruolo della formazione e le certificazioni volontarie

Il cambiamento, ricorda il documento, passa anche dalla formazione. Non basta definire procedure e sanzioni: è necessario lavorare sulla cultura organizzativa, rendere riconoscibili i comportamenti inaccettabili e costruire consapevolezza a tutti i livelli, dai vertici ai lavoratori neoassunti. La sensibilizzazione, se costante e strutturata, diventa la prima barriera contro la normalizzazione delle molestie e delle violenze.

Infine, il testo richiama l’attenzione sul ruolo delle certificazioni volontarie e degli standard internazionali, come la UNI/PdR 125 sulla parità di genere, la ISO 45003 sui rischi psicosociali e la ISO 30415 sulla diversità e inclusione. Questi strumenti, se adottati in maniera autentica e non meramente formale, possono aiutare le aziende a integrare la prevenzione delle molestie nelle proprie politiche di sostenibilità e responsabilità sociale, rafforzando non solo la tutela dei lavoratori ma anche la reputazione organizzativa.

Il Documento di consenso CIIP 2025 si presenta dunque come un testo “aperto e in progress”, destinato a stimolare confronto, raccogliere esperienze e orientare pratiche. La sfida che pone alle imprese e alle istituzioni è chiara: trasformare la prevenzione delle molestie e delle violenze in un tassello strutturale della gestione della salute e sicurezza, riconoscendo che non c’è benessere lavorativo senza dignità e rispetto.

Vuoi trasformare la tua organizzazione in un ambiente di lavoro più sicuro?

La prevenzione delle molestie e violenze richiede competenze specialistiche e un approccio metodologico strutturato. La nostra azienda accompagna le imprese in questo percorso di cambiamento, fornendo consulenza esperta per:

  • Sviluppare sistemi di prevenzione efficaci e integrati nella gestione aziendale
  • Ottenere certificazioni volontarie come UNI/PdR 125, ISO 45003 e ISO 30415
  • Implementare processi di valutazione del rischio psicosociale conformi alle normative

Contattaci per una consulenza personalizzata: scrivi a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. o compila il modulo.

Il Regolamento (UE) 2024/1987, adottato dalla Commissione Europea il 30 luglio 2024, introduce modifiche significative al precedente Regolamento (UE) 2023/915 riguardante i limiti di nichel in vari prodotti alimentari. Queste modifiche sono pensate per proteggere la salute pubblica, in particolare per le persone con sensibilità o allergie al nichel. Sebbene il nichel sia un elemento naturale, la sua accumulazione negli alimenti e l’esposizione continua a questa sostanza possono avere effetti negativi sulla salute, come allergie cutanee, reazioni sistemiche e alterazioni nei processi biologici.

L'Obiettivo del Regolamento: Protezione della Salute Pubblica

L'esposizione cronica al nichel è un rischio crescente, soprattutto per le persone vulnerabili, come quelle che soffrono di dermatite da contatto o altre reazioni allergiche. L'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), attraverso una valutazione scientifica, ha identificato la tossicità per la riproduzione e lo sviluppo come effetto critico per l’esposizione cronica al nichel. La dose giornaliera tollerabile (DGT) stabilita dall’EFSA è di 13 μg/kg di peso corporeo, limite che non deve essere superato, in particolare per i bambini e i lattanti.

Per ridurre l’esposizione e garantire una maggiore sicurezza, il regolamento impone limiti più rigorosi sui livelli di nichel in una serie di prodotti alimentari, inclusi frutta secca, legumi e cereali. Le modifiche stabiliscono che il contenuto di nichel in questi alimenti non deve superare determinati limiti, espressi in milligrammi per chilogrammo (mg/kg), con limiti variabili a seconda del tipo di prodotto e della sua destinazione. Per esempio:

  • Frutta a guscio: Limite fissato a 3,5 mg/kg per la maggior parte delle varietà, con un limite di 10 mg/kg per alcune come noci di anacardi e noci del Brasile.
  • Ortaggi a radice e tubero: Limite a 0,90 mg/kg.
  • Legumi: Limite di 1,0 mg/kg per la maggior parte dei legumi, ma 6,0 mg/kg per i semi di soia.

Impatto sulle aziende alimentari

Queste modifiche pongono una sfida importante per le aziende alimentari, che dovranno adeguarsi alle nuove normative, implementando misure di controllo e monitoraggio dei livelli di nichel nei loro prodotti. Il regolamento prevedeva un periodo di transizione fino al 1° luglio 2025, consentendo alle aziende di adottare le necessarie misure di controllo e adeguamento. Per alcuni alimenti, come i cereali, l'adeguamento sarà richiesto entro il 1° luglio 2026.

Il ruolo della certificazione Nichel Free: un Impegno per garantire salute e qualità

In questo contesto, Promotergroup S.p.A. offre un supporto fondamentale per le aziende che desiderano adempiere alle nuove normative. L'azienda è specializzata nell'assistenza per ottenere la certificazione Nichel Free, attraverso l'implementazione di un Disciplinare per la Certificazione di Processo a Caratteristiche Definite. Questa certificazione garantisce che i prodotti alimentari mantengano i livelli di nichel sotto la soglia analitica di 0,01 mg/kg, un obiettivo che viene perseguito attraverso il controllo di tutte le fasi della produzione e l'adozione di pratiche agricole specifiche per minimizzare la contaminazione da nichel.

Le aziende che decidono di intraprendere il percorso di certificazione Nichel Free possono beneficiare di vantaggi significativi, tra cui:

  • Controllo della Filiera: Dimostrare un impegno serio e continuo nel monitoraggio e nel controllo di tutta la filiera produttiva.
  • Distinzione nel Mercato: Offrire prodotti sicuri e certificati, aumentando la competitività nel mercato e fidelizzando i consumatori.
  • Sostenibilità: Integrando la certificazione Nichel Free con altre pratiche di produzione sostenibile, come l'agricoltura biologica o la produzione integrata, le aziende possono rafforzare la loro immagine di responsabilità e qualità.

In conclusione, l'introduzione di questi nuovi limiti di nichel da parte del Regolamento (UE) 2024/1987 rappresenta un passo importante per la protezione della salute pubblica. Le aziende alimentari sono chiamate a rispondere a queste nuove sfide con impegno e serietà. La certificazione Nichel Free rappresenta la soluzione ideale per garantire prodotti sicuri e conformi, in grado di soddisfare i requisiti normativi e le aspettative dei consumatori.

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